Per la crisi europea in corso, la parafrasi della citazione di Norberto Bobbio sembra, tra le molte, quella che più si addice per introdurre un tema dove i dubbi (tanti) prevalgono sulle certezze. Tra l'abnorme (forse troppa) mole di materiali / scenari prodotti sull'onda dell'imminente referendum greco, 2 sono i "prodotti" mediatici (non recentissimi, peraltro) oggetto di attenzione in questo post:
=> un libro del Prof. Sergio Fabbrini
e
=> un docufilm di Annalisa Piras e Bill Emmot
IL LIBRO (di seguito una brevissima sintesi):
Sergio Fabbrini sostiene che l'Unione europea (UE) è costituita da stati
che perseguono finalità diverse, piuttosto che semplicemente muovendo nella
stessa direzione a velocità diverse. Egli descrive le prospettive
alternative l'UE (una comunità economica, un'unione intergovernativo, e un
sindacato parlamentare), che ha portato a più compromessi nella sua struttura e
mostra come la crisi dell'euro li ha chiamati in causa. Il libro sostiene
che un nuovo ordine politico europeo è necessario per far fronte alle
conseguenze della crisi, sulla base di una differenziazione istituzionale tra i
paesi membri dell'UE interessati solo mercato di co-operazione e quelli più
interessati ad avanzare verso una vera unione economica e monetaria. Tale
differenziazione consentirebbe quest'ultimo gruppo a diventare un'unione
politica, concettualizzato come unione composto di Stati e di cittadini,
mantenendo un quadro riveduto di un mercato unico in cui entrambi i gruppi di
Stati possono partecipare.
=> Propone un nuovo modo di guardare l'UE
=> Riflette le diverse prospettive di integrazione nell'UE
=> Analizza come la crisi dell'euro ha trasformato la struttura e la
funzione dell'UE
Il processo di integrazione europea può
essere visto come cammino graduale verso un’unione federale. Ma è stato un
cammino più tortuoso e meno «pulito» di quelli svizzero e statunitense,
soprattutto a causa delle divergenze fra gruppi di Stati circa la destinazione
finale.
Per un primo gruppo,
guidato dal Regno Unito, con i Paesi nordici e, in buona misura, quelli
centro-europei, la Ue deve limitarsi a essere una comunità economica, un grande
spazio per gli scambi di mercato. Londra non vuole sentir parlare di federalismo.
Durante i negoziati per il Trattato costituzionale europeo, nei primi anni
Duemila, gli inglesi si rifiutavano persino di pronunciare quella parola e
usavano un’abbreviazione dispregiativa: the f-word. Per i Paesi
continentali, la Ue deve invece trasformarsi in una vera unione federale. Ma
all’interno di questo gruppo si oscilla fra due possibili modelli: quello
dell’unione parlamentare, ossia, mutatis mutandis, una democrazia
rappresentativa modellata sull’esperienza degli Stati nazionali; e quello dell’unione
intergovernativa, cioè una forma di cooperazione stabile fra governi nazionali
su alcune politiche strategiche. Tradizionalmente, Germania e Italia erano
schierate a favore del primo modello, la Francia del secondo.
Fabbrini osserva
giustamente che i tre tipi di unione coesistono oggi l’uno accanto all’altro in
maniera confusa e incoerente. Il Trattato di Lisbona (2009) ha
bailcercato di fare un po’ d’ordine, ma senza riuscirvi fino in fondo. Quel che
è peggio, durante la crisi i Paesi dell’Eurozona hanno rafforzato la
cooperazione intergovernativa (vedi il fiscal compact, un trattato
separato da Lisbona per il governo macro-economico dell’Eurozona), rendendo il
sistema ancora più complesso.
Che fare? Fabbrini propone una triplice
ricetta: separare, ricomporre, connettere. Innanzitutto, prendere atto delle
divergenti finalità fra i due gruppi di Paesi ed estrarre la comunità economica
dall’alveo dell’unione federale, delineando per la prima un sistema di gestione
semplice e leggero.
IL DOCUFILM: (di seguito una breve presentazione)
Buona visione